Anche per noi infermieri non è sempre facile

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Dopo dieci anni come infermiere accanto alle persone con SM posso dire che ci sono giorni in cui sento che vale davvero la pena di continuare a farlo, questo lavoro, altri in cui mi sento un po’ più impotente. In cui vorrei fare qualcosa di diverso, qualcosa che va ben oltre il sapere tecnico e la preparazione. Ho imparato ad esempio che ‘smettere i panni’ dell’infermiere e parlare con il cuore, a volte, è molto più efficace di un’istruzione su una terapia. Ci sono state molte altre volte però in cui non sono riuscito a comunicare come avrei voluto. Succede a tutti, siamo esseri umani: problemi in famiglia, il non riuscire a scrollarsi la vita privata di dosso, possono far sì che io non sia stato al massimo per i miei pazienti. Ricordo anni fa una giovane paziente alla prima infusione di natalizumab. Ricordo come quel giorno non me la sentii di uscire dall’alveo professionale, e di parlare col cuore. La ragazza, un mese dopo, tornò per l’infusione successiva ed ebbe il coraggio di chiedermelo: «Che cosa avevi l’altra volta?  Eri arrabbiato con me?». La paziente poi si trasferì per altri motivi, e io non ho più avuto occasione di parlarci.

 

Avrei voluto dirle che non è sempre facile. Che gli operatori coinvolti e appassionati sono quelli che rischiano di tornare a casa con un senso d’impotenza per una patologia senza una cura definitiva, o viceversa, possono non riuscire a tenere i confini tra casa e lavoro, non come ‘sapere tecnico’ ma come
freschezza mentale, e non sono sempre in forma. Avrei voluto dire, a quella paziente, come ad altri che mi sono capitati, che ci sono momenti più gratificanti per noi: quelli in cui pensiamo che i pazienti andranno a stare meglio con nuove terapie, le loro fasi di recupero; ma anche momenti in cui torniamo a
casa e pensiamo, com’è possibile che non si riesca a seguirli abbastanza, che si debba ‘lasciarli soli’ per un mese, che non gli si possa dare risposte definitive? So che non è il mio ruolo, io lavoro per la loro vita quotidiana, e non per fare ricerca. Però tutto questo avrei voluto dirle, e non ho fatto in tempo.

Francesco Pastore

 

Questa lettera è stata pubblicata su SM Italia 2/2016. In risposta, nello stesso numero della rivista d’informazione di AISM, è stata pubblicata anche la risposta di una persona con SM. Leggi la risposta

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5 commenti

  1. GRAZIE!
    è ciò che sento di dire di getto dal cuore a chi, come te (spero di poterti dare del “Tu”), svolge un lavoro che è a contatto diretto con le persone e che cerca di dar loro, cercando di “mettere da parte” i propri problemi, un’assistenza e un supporto il più completi possibile!
    Grazie per ussere disposti a elargire una parola di conforto, oltre che assolvere ai propri ruoli di lavoro, semplici gesti che hanno una valenza fondamentale!
    Sono sicuro che, non so quando, avrai l’occasione di rispondere alla domanda che ti pose quella paziente…, e riuscirete a chiarire qualsiasi dubbio e incomprensione!
    Nel tempo ho instaurato un rapporto di amicizia stupendo con Infermieri e Dottori, e auguro a tutti di avere la fortuna di incontrare persone di questo “calibro” nel corso di questo “Viaggio” imposto dalla SM.
    Ancora GRAZIE! Ciao!

  2. Ciao Francesco,
    Il tuo post mi ha profondamente colpita perché io mi ritrovo in tutte e due le parti. Sono un O.s.s in un reparto di riabilitazione psichiatrica e ho scoperto di essere malata di S.M. l’hanno scorso.
    Per me il personale che mi ha seguito durante le infusioni di cortisone per la neurite ottica e per i successivi accertamenti per la conferma della diagnosi è stato un grosso aiuto.
    Anche per me che faccio questo lavoro da 10 anni non era facile stare vicino come avrei voluto ai miei pazienti ma ora che sono passata dall’altra parte del letto,come dico io,la cosa è del tutto cambiata. Ora riesco a dimostrare più empatia con loro perché capisco cosa significa avere personale umanamente disponibile in certe situazioni.
    Speriamo di riuscire sempre al meglio nel nostro lavoro e che Sua Maestà mi permetta di svolgerlo anche se mi sta dando filo da torcere, ma non le darò la soddisfazione di farmi arrendere. ..

  3. Grazie…. Grazie perché voi infermieri siete umani con noi…. Ogni ricaduta vedo la faccia triste della mia Elisa la nostra superinfermiera che é sempre pronta a venirci incontro, che ricotda i nostri nomi, che ci chiede ogni volta come stiamo quando andiamo all’alba a prendere il farmaco… Sento di dire che sono grata agli infermieri come voi… Che ci siete per noi… Che vi preoccupate per noi proprio come se fossimo una grande famiglia…

  4. Io per fortuna ho l’onore di avere uno staff medico che ci non mi sostengono al massimo del dovuto e devo solo ringraziare il Dio che queste persone non che infermiere di Verona che si fanno un mazzo per aiutarti sostenerti anche psicologicamente…! Che dire di più sta in noi reagire e non mollare mai..! Ciao a tutti.

  5. Ricordo bene linfermiere che nonostante i tempi stretti del lavoro si è fermato con me per spiegarmi come sarebbe stata la puntura lombare, tranqullizzandomi e rassicurandomi.
    Il medico mi aveva detto sorridendo che mi avrebbero risucchiato un po’ di cervello! 😐

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