Sclerosi multipla e ricerca: a tu per tu con Giulio Disanto

In occasione del Convegno FISM, io e Gabriele abbiamo avuto l’onore di trascorrere un giorno da “infiltrati” della ricerca. Tra i tanti ricercatori incontrati, ce n’è uno molto giovani ma già esperto, tanto che lo scorso anno ha vinto  il premio Rita Levi Montalcini proprio al meeting di FISM. Così abbiamo fatto due chiacchiere con Giulio Disanto

Classe 1984 e senese di origine, Giulio è un giovane ricercatore pieno di entusiasmo. La sua passione per la genetica lo ha portato lontano. Ci ha raccontato un po’ di sé, provando a sconfiggere la sua naturale timidezza.

 

Perché ti sei avvicinato al mondo della ricerca?
«
Fin dal liceo mi sono accorto di nutrire una particolare passione per la chimica e la biologia: in particolar modo mi appassionava lo studio della genetica. Mi sono iscritto alla facoltà di Medicina e Chirurgia per coltivare sempre di più questo mio interesse. Mi sono laureato a Siena, ma già prima di terminare gli studi, si è fatta strada dentro di me la voglia di viaggiare e di conoscere posti nuovi, culture nuove».

Dove ti ha portato questa tua voglia di “evadere”?
«Proprio unendo le mie due grandi passioni – la genetica e il viaggio – ho deciso di vivere esperienze estive di studio in altri paesi, in particolare gli Stati Uniti. Momenti formativi e di crescita personale che mi hanno regalato tanto e che mi hanno portato ad occuparmi di neurologia».

E la SM come è arrivata nella “tua vita”?
«Prima di laurearmi sono stato ad Oxford dove un professore con il suo staff stavano cercando di capire la relazioni genetiche nella sclerosi multipla. Da tempo stavo cercando informazioni su gruppi di studio che stessero lavorando su genetica e neurologia. L’esperienza presso l’Università di Oxford doveva durare pochi mesi, ma è diventata qualcosa di più: dopo essere tornato in Italia per laurearmi, sono subito ripartito verso la Gran Bretagna».

Qual è l’oggetto della tua ricerca?
«Mi occupo di studiare i fattori di rischio che possono incidere sull’insorgenza della Sclerosi Multipla. In particolare mi occupo di indagare su quelli che sono i fattori di rischio ambientali e genetici. Si tratta di studi per lo più statistici (soprattutto quando si parla di predisposizione genetica) e particolarmente importanti. Infatti, capire quali sono i fattori ambientali che scatenano la malattia, ci permetterebbe di agire in un’ottica di prevenzione che a tutt’oggi non è ancora possibile».

Qual è il valore aggiunto di una vita trascorsa in un laboratorio di ricerca?

«Il valore aggiunto sta nella possibilità di poter indagare al fine di poter scoprire qualcosa, anche di piccolo, che potrebbe avere potenzialità più grandi, che potrebbe cambiare il futuro della SM. Il nostro lavoro non è sempre facile ed immediato. Molto spesso credi di aver fatto una grande scoperta, ma poi ti rendi conto che non è realmente così. Tutto risiede nella passione e nell’impegno, nel credere che con la costanza e con lo studio si può portare cambiamento. Non avendo un diretto rapporto con i pazienti e passando la maggior parte del tempo tra microscopi e provette, a volte si conosce poco la quotidianità delle persone con SM. Ecco perché tutte le volte che ho occasione di incontrarle, sento crescere in me lo stimolo per fare sempre di più, per fare sempre meglio».

Spesso navigando sul web, si coglie una sensazione di grande distacco tra il ricercatore e la persona con SM. Siete visti come “disinteressati” alla reale condizione di coloro che sono i destinatari dei vostri studi e delle vostre scoperte.
«Penso e credo che fare ricerca – per vari motivi – ad un certo punto diventi un lavoro vero e proprio e forse, come dicevo prima, non ci permette di avere una percezione piena delle realtà quotidiane delle persone per le quali cerchiamo di fare qualcosa. Tuttavia mi sento anche di dire che non è sempre così e non lo è per tutti i ricercatori».

Cosa è per te la ricerca?
«La ricerca per me è prima di tutto curiosità, e poi è sicuramente sviluppo».

Da giovane ricercatore  cosa hai da dire ai ragazzi con SM?
«Capire cosa significa vivere con la SM è impossibile se non si ha un’esperienza diretta, ma dovete avere fiducia nella ricerca e nei ricercatori. Quello che è stato fatto fino ad oggi è davvero tanto e sappiamo dove vogliamo arrivare. Inoltre credo che avere un’associazione come AISM che vi permette di avere un confronto diretta tra pari e che vi aiuta a vedere la SM con occhi diversi, sia una grande fortuna».

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1 commento

  1. Bravi ragazzi! bella intervista

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