“7ospiti@7blogger: un regista di ……. speranza”

Intervista a Antonello Faretta, classe 1973 regista lucano fondatore della NoeltanFim Studio con il quale produce tutti i suoi lavori, tra cui nel 2010 “Il giardino della Speranza” un film su un giovane con sclerosi multipla, vincendo il premio Front doc 2010 per l’efficacia e la delicatezza che ha avuto nel trattare un tema così importante.

Perchè hai scelto la sclerosi multipla per il tuo lavoro?

Non credo di aver scelto io la SM per questo film, piuttosto direi che è stata lei a cercarmi. L’idea iniziale era quella di tentare un film che affrontasse la vita in uno di quegli spazi – presenti in ognuna delle nostre città – dove credo si realizzi la vera solidarietà tra gli individui. Questi spazi invisibili alla frenesia del nostro vivere – come gli ospedali e le carceri – sono quei luoghi dove risiedono i sogni, i desideri e le speranze di chi soffre, di chi spesso sta affrontando un’importante prova della sua vita. Da tempo, poi, c’era questo testo di John Berger intitolato Mentre Lei Sogna – in apertura del suo splendido libro Modi di Vedere – che mi inseguiva silenziosamente, mi pedinava quasi. In questo scritto Berger scrive una lettera al sindaco di Lione esortandolo a realizzare un meleto negli spazi dismessi delle vecchie carceri cittadine, un meleto i cui frutti avrebbero richiamato alla memoria tutti i sogni sognati in quel luogo dai detenuti. Questa immagine poetica, l’idea di un contenitore di sogni di persone la cui libertà fisica è compromessa e la domanda: – quali sono i luoghi che ospitano il più gran numero di sogni? – mi hanno condotto alla storia di Marco Lopomo, il protagonista del film, che ho ritrovato dopo molti anni proprio in una di queste scatole di sogni, l’Ospedale di Potenza.

Quale voleva essere il tuo obiettivo da trasmettere?

Non avevo un obiettivo in particolare. Cerco sempre di un approccio al mio lavoro da studente, mi pongo un tema e cerco di scoprire, di imparare. Lo faccio per me stesso innanzitutto, dopo viene il resto. Non avevo un’idea chiara di quello che avrei realizzato e mi piace procedere per ipotesi senza aver la pretesa di voler trasmettere necessariamente qualcosa… Poi lavorando con Marco mi sono reso conto che il film poteva svolgere un ruolo nella sua vita, intendo dire che tutto il momento della lavorazione costituiva per Marco, per me e per tutte le persone coinvolte una traiettoria a cui aggrapparsi. Trovo questo molto interessante, quando i film svolgono una funzione di “utilità” per chi si trova coinvolto nella sua lavorazione. Tutto il resto, appunto, viene dopo.

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Ma a me è quel momento, quel processo ad interessarmi. In questo mi ero imposto l’unica regola di evitare ad ogni costo una presa di posizione diciamo così “registica”, “autoriale”, volevo evitare moralismi o scivolare in inutili spettacolarizzazioni che un tema così delicato potrebbe presentare. Volevo in definitiva restare aggrappato allo spazio privato di un uomo che affronta una difficoltà di questo tipo e cercare di capire quale ruolo svolgessero i sogni, le emozioni e che forma visiva potesse avere il termine “speranza”. In fin dei conti nel film non pronunciamo mai la parola “Sclerosi Multipla” ma la facciamo vedere, la mostriamo e con essa l’abbandono, la saggezza che acquisisce chi vive una condizione di questo tipo. Nel film il protagonista si rivolge alla malattia come se parlasse di una compagna, di un’amante capricciosa… questo lavoro sull’ambiguità e l’incertezza lo trovo affascinante. D’altronde cos’è la vita se non un meraviglioso mistero?

Quanto credi sia importante la tua esperienza con la disabilità per la tua vita futura?

E’ importantissima! Sono affascinato dalla cosiddetta “diversità”, dai cosiddetti “outsider” e questi termini non sono spesso da associare a dei limiti fisici ma io l’intendo come limiti mentali. Siamo tutti disabili fondamentalmente, abbiamo tutti facoltà – o possibilità – più sviluppate o meno sviluppate. Io rispetto al protagonista del film mi sento infatti “disabile” spiritualmente: riuscire ad avere la sua forza, la sua grazia, la sua luce e la sua speranza sono traguardi di vita per me importanti e spero anche io di poter continuare a lavorare su questa mia disabilità. La vita è un percorso ad ostacoli e ricordarsi di avere dei limiti ci induce a voler lottare per affrancare la nostra esistenza. Trovo che in tutto questo vi sia progresso, voglia di evolvere e di innalzarsi e non di ripiegarsi su se stessi.

A quale “rosso” nella tua vita non ti sei fermato?

Considero sempre le difficoltà come fasi naturali della vita, bisogna affrontarle e provare sempre – è questo l’esercizio più difficile – a parlare con loro, ad instaurare un dialogo che ci consenta di approfondire sempre più la conoscenza di noi stessi e del mondo. Bisogna fermarsi di fronte alle difficoltà, capire e andare avanti cercando sempre di essere uomini migliori di come lo eravamo prima. Le difficoltà cosa sono se non processi di trasformazione, di metamorfosi e di crescita?

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7 commenti

  1. anche questo è un esempio di Persona al centro! Bravi!

  2. Belle parole Antonello e ancor più bella la voglia di raccontare la diversità da una prospettiva così intima e profonda.Il nostro Marco è un’esempio di uomo innamorato della vita che quando parla ai ragazzi riesce sempre a scuoterli,emozionarli così com’è accaduto all’università giorni fa..ma è stato altrettanto emozionante conoscere Marco attraverso la tua prospettiva..quindi grazie da parte di tutti quelli come me sono innamorati della diversità intesa come ricchezza,possibilità..

  3. Brava Omonima! Sono contanta che Abntonello sia “approdato” anche sul blog grazie a questa tua intervista!!!! well done 😉

  4. grazie antonello! hai ragione, dobbiamo cercare sempre di essere uomini migliori…

  5. “Io rispetto al protagonista del film mi sento infatti “disabile” spiritualmente: riuscire ad avere la sua forza, la sua grazia, la sua luce e la sua speranza sono traguardi di vita per me importanti e spero anche io di poter continuare a lavorare su questa mia disabilità”,Questo concetto di Antonello lo condivido appieno.Ha espresso molto bene una realta’ sempre piu’ frequente ma non ancora cosi’ tanto riconisciuta tale..

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