Storie per un mondo libero dalla sclerosi multipla

Non potrò mai dimenticare il mio primo incontro con la SM

Oggi pubblichiamo la storia di una diagnosi di sclerosi multipla molto travagliata. Una giovane ragazza racconta il difficile incontro con la sclerosi multipla.

Da qualche mese ormai leggo i racconti su questo e su altri blog quasi ogni sera, prima di dormire. Sentire le storie di persone che vivono i miei stessi piccoli drammi riesce a darmi una forza incredibile e non mi sento sola. Leggendo queste storie ho pensato che anche la mia possa essere d’aiuto e quindi, eccola qui.

Avevo diciotto anni la prima volta che mi sono accorta che dentro di me c’era qualcosa che non tornava. È una mattina come le altre, di ottobre, sto andando a scuola in motorino e sono pure in ritardo! Poi ad un incrocio butto un’occhiata distratta verso sinistra e quasi mi viene un colpo: ci sono due strade. Due macchine che si avvicinano, due cartelli stradali.

Arrivo a scuola un po’ intontita e ci si mette pure il prof che mi rimprovera per l’ennesimo ritardo. Bofonchio qualcosa e mi butto sulla sedia, imbronciata e infastidita dal fatto che come muovo gli occhi il mondo si sdoppia. E poi ci si mette anche quel fastidio al braccio destro che, a detta del dottore, è tendinite. Una giornataccia!

Mi lamento un po’ con la mia compagna di banco, che mi rassicura: mi dice di stare tranquilla che sicuramente si tratta di un calo della vista e aggiunge che lei deve rifare gli occhiali. Lì per lì l’idea degli occhiali mi stuzzica, penso sorridendo al fatto che i ragazzi dicono che fanno sexy…

Cerco di ignorare i vari fastidi e rimango tranquilla. La sera vado agli allenamenti (giocavo in ben due squadre di pallavolo) e poi crollo stremata. E così il giorno dopo, e quello dopo ancora. Poi finalmente arriva il sabato.

Non ero preoccupata perché anche mio padre mi aveva liquidata con un fiorentino «ma non fare la ficosa!», e si sa che i  babbi sanno sempre tutto.

La domenica andiamo fuori città per un pranzo in famiglia e inizio ad avere seri problemi a tenere gli occhi aperti: il mondo stava impazzendo, o forse ero io. Nella mia testa c’erano addirittura due autostrade una sopra l’altra. Un mal di testa lancinante inizia a salire e alla fine crollo e chiedo di portarmi in ospedale.

Al pronto soccorso oculistico mi fanno vedere una lucina rossa, ma io ne vedo due ed il braccio è completamente addormentato. La chiamano parestesia. Poco dopo il ricovero, l’angoscia di rimanere sola in un reparto neurologico-psichiatrico, il buio e le luci blu del corridoio che si vedono dalla porta della camera.

La mattina dopo  comincia  con un’infermiera gentile, dei sorrisi e poi gli accertamenti. Ricordo il volto di un medico, bellissimo, le cui mani profumavano di tabacco. A seguito la terapia e l’inizio dell’incubo.

Se gli antidolorifici mi avevano ridato un minimo di lucidità, il cortisone mi ha stroncata. La testa pulsava, non potevo aprire gli occhi. Ero intrappolata in una morsa che mi faceva vomitare di continuo per il dolore.

Presto un medico mi spiega la necessità di fare il prelievo del liquor al fine di riuscire a capirci qualcosa ed è così che docile e remissiva mi siedo sul lettino cercando di limitare gli spasmi e dando loro la possibilità di procedere.

Subito dopo l’esame, non posso alzarmi e mi dicono che è una cosa normale, che nel giro di poche ore sarei stata meglio. Il mal di testa però cresce, guardo l’orologio e il tempo non passa, sembra immobile. Sto così male che desidero morire. Non ce la faccio più, chiudo gli occhi… e poi il nulla.

Quando li riapro mi accorgo che qualcosa non va: la stanza è piena di gente, ci sono anche i miei genitori, ma è notte. Mi viene un conato di vomito e penso subito «che schifo», ma non sento nessun odore. Mi chiedono come sto ed io rispondo che sto bene, ma avverto che è tutto strano, troppo strano. Infatti mi mettono prima su una barella, poi su un’ambulanza e poi in un tubo che fa un rumore allucinante. Poi di nuovo buio.

Mi risveglio attaccata a mille tubi: ossigeno, saturimetro, sondino naso-gastrico, catetere, una flebo. Cerco di togliermeli ma una voce gentile mi dice di stare ferma, che sennò mi faccio male. E’ mia madre. Mi riaddormento.

Giorno dopo giorno, piano piano, mi riprendo e mi accorgo che no, non ci vedo più doppio e si, il braccio è di nuovo a posto. Mi dicono che ho avuto una PRES (Sindrome da Encefalopatia Posteriore Reversibile), e alcune crisi epilettiche, ma non sanno perché. Ancora oggi nessuno lo sa il perché.

Dopo una settimana mi dimettono: ero entrata con un’unica lesione pontina ed ero uscita con un edema cerebrale, gran bell’affare.  Esco da lì con una prescrizione di dosi massicce di antiepilettici. Li ho odiati quei farmaci, anche se mi hanno salvato la vita.

Alla fine di quelle due settimane davvero incasinate, il bilancio era questo: diagnosi, per quel momento nessuna; cose da fare, la maturità e con un edema celebrale non è cosa da poco.

Questo è stato l’inizio della mia storia con la sclerosi multipla, una storia che è ancora tutta da scrivere.

A.M.

Se vuoi condividere la tua storia su questo blog scrivici a blog@giovanioltrelasm.it

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