Oggi pubblichiamo la storia di Arianna che ripercorre il suo primo incontro con la sclerosi multipla. Un racconto intenso che Arianna scrive in una sorta di lettera a distanza di un anno dalla diagnosi.
Ricordo perfettamente le immagini sfocate di quando ti ho incontrata la prima volta, sclerosi multipla.
Su viale Mancini il paesaggio scivolava intorno a me mentre io correvo come ogni giorno ad alleggerirmi i pensieri. Parlavo al telefono con Raffo. Scherzavo, dicevo, programmavo. Come ogni giorno andavo più avanti del mio corpo. Ad un certo punto, però, il mondo si è improvvisamente duplicato.
Avevo già provato una sensazione simile dopo una sbronza, ma era più lieve e più allegra. Ad un tratto i confini delle case apparivano sgranati e doppi. Le persone mi raggiungevano il passo, o forse ero io ad investirle e non volevo smettere di correre.
Continuo a parlare al telefono. Espiro e chiedo se la sera sarebbe passato a prendermi. Espiro di nuovo e continuo la mia conversazione mentre i filari stretti degli alberi iniziano a diventare un bosco. Anche gli alberi mi investono e il sentiero, che ai miei occhi sembra enorme, sotto ai miei piedi non ci sta: è una striscia stretta che non riesco a seguire.
Corro, come ogni giorno, non smetto di correre. Espiro e continuo a tenere una conversazione con l’altro capo del telefono. Chiedo scusa per essermi distratta un attimo, dico che sì, l’ho ascoltato il pezzo che mi ha postato, gli ricordo che giovedì si va in montagna… e nel frattempo penso che si tratta sicuramente di uno sbalzo di pressione.
Corro per altri due chilometri fino al Parco Robinson, poi rallento. Mi fermo, ma tutto intorno a me continua a muoversi. E non una, ma due volte.
Chiudo la telefonata con un: «Ci sentiamo dopo. Bacio» e mi metto a fare il test della vista da ubriaca. Mi tappo un occhio con la mano e guardo il semaforo davanti a me. Fatico un po’, ma ci vedo bene. Faccio il test sull’altro occhio e va tutto bene. Riapro lo sguardo e vedo un semaforo che prima non c’era.
Allora chiudo un occhio, lo riapro. Chiudo di nuovo, gli riapro tutti e due. Torno a casa, sono stanca, la notte prima non avevo dormito bene e probabilmente questo fastidio poteva dipendere proprio da quello.
Lo studio per gli esami stava sicuramente affaticando la vista e poi c’era lo stress per quello che, da lì ad un mese, sarebbe stato il mio primo viaggio all’estero con un biglietto di sola andata. In più c’era lo spettacolo da provare con i Da Ricovero e quei farmaci a base di erbe che mi aveva prescritto una neurologa che mi stavano rincoglionendo.
Insomma, torno a casa, faccio una doccia e mi riposo un’oretta prima di andare a Krav Maga (sistema di combattimento ravvicinato e di autodifesa di origine israeliana). Per stare tranquilla, misuro comunque la pressione, ma quando scopro che i parametri sono perfetti, tranquilla non lo sono per niente perché significa che lo sdoppiamento della vista non dipende da quello.
A lezione di Krav Maga do tutta me stessa, ancora più del solito. Tiro pugni a quel materasso come per tirarlo a quell’occhio in più che non mi fa focalizzare nulla.
Torno di nuovo a casa e sembra che il mondo intorno a me sia tornato ad essere uno soltanto, ma torna a sdoppiarsi appena cammino, appena sono avvolta dal calore della doccia, appena mi concentro.
Quella domenica mio padre aveva prenotato una visita oculistica ad Acri, a due ore di distanza dalla città e chiedo a mia mamma se posso approfittare dell’occasione per farmi dare un’occhiata.
Acri è un paese di montagna e gennaio è cominciato da poco. Fa freddo, ma la sala d’attesa dello studio e accogliente.
Dopo la visita, l’oculista mi chiede quando parto. La vista va bene, ma vuole fare ulteriori controlli presso la fondazione dove lavora, a Roma. A quanto pare i miei fastidi dipendevano dal nervo ottico, dal sistema nervoso, quindi, non dalla vista.
Gli rispondo che un viaggio a Roma non era in programma e che quindi probabilmente questi controlli non riuscirò a farli data l’imminente partenza. Gli dico che magari, al rientro dall’Erasmus, si poteva fare.
Mi dicono di fare una TAC ed io sinceramente non capisco tutta questa apprensione per uno stupido problema alla vista. Penso che derivi da un’ansia generale dei miei genitori per la partenza. Dovevo assecondarli per tranquillizzarli e poi comunque non è la prima volta che entro in un macchinario come quello. Ci ero già stata a 16 anni per un problema al braccio.
Mentre mi rivestivo per uscire, incrocio un signore in piena età con l’espressione di un bambino prima di un’interrogazione. Mi chiede se ho già fatto l’esame e mi chiede com’è, come si sta. Lo rassicuro e nel frattempo lo chiamano per entrare. Ci salutiamo con un sorriso.
In quell’istante arriva anche l’infermiere che mi guarda e mi dice, con un’aria tranquilla ed un viso sereno: «Signora, può stare tranquilla. Per adesso abbiamo escluso il tumore al cervello».
Arianna
ciao a tutti i i i, sono luigi – essi anche io ho avuto la triste diagnosi. . . .
ormai sono passati 15 anni, tutto ebbe inizio da una piccola paralisi (pochi minuti ) alla mano, dalla risonanza eseguita si evidenziarono alcune placche tipiche della sclerosi . dopo il trauma del primo momento, ho cercato di trovare la e forza x tornare a sorridere, mi ritengo fortunato e ringrazio Dio. è difficile ma bisogna reagire combattere, lottare – forza a a a a, in bocca al lupo.
ho provato sulla mia pelle tutti i vari sintomi e rido di me stesso, ah ah come si fa a cadere, non riuscire a restare in piedi ? ? ?