Come si scopre un farmaco. Il racconto di Ivano Eberini

Ivano Eberini è biochimico e ricercatore all’Università di Milano, con una passione per la comunicazione e la stoffa del divulgatore, tanto da essere spesso ospite di iniziative AISM, a partire dal Convegno Giovani. Sul suo profilo Facebook in questi giorni ha pubblicato un contributo che vogliamo riproporre, perché ci sembra utile ed efficace nello spiegare ai “non addetti ai lavori” cosa implica la scoperta di un nuovo farmaco.


Se parlate con un farmacologo, vi spiegherà quanto il processo di scoperta di un nuovo farmaco sia lungo, complicato e dispendioso in termini economici. Pensate che fallire l’immissione in commercio per uno o due farmaci può tranquillamente far vacillare una multinazionale farmaceutica.

La prima cosa che mi viene da raccontarvi è che scoprire, ottimizzare e mettere in commercio un nuovo farmaco è un processo multidisciplinare, che coinvolge numerose persone con expertise differenti.

Con il passare del tempo, è proprio cambiata la strategia, che fino ad alcuni anni fa era basata sulla serendipità. Parola strana, derivata da ’serendipity’, che, più o meno, significa scoperta casuale. Un esempio? La scoperta della penicillina da parte di Fleming, che osservò che i batteri non crescevano in presenza di muffe e scoprì che le muffe producevano una sostanza in grado di uccidere i batteri. Certo, anche la serendipità richiede di non essere completamente decerebrati o distratti o frettolosi, altrimenti anche la più “evidente evidenza” rischia di sfuggirci. Comunque, la serendipità richiede una certa congiunzione di “botte di culo”, che nemmeno sul tagadà si riesce sempre a mettere elegantemente in fila.

Un’altra strategia è quella di copiare dalla struttura di composti attivi già presenti in natura o di farmaci che già funzionano, modificandoli un poco alla volta, per ottenere molecole con attività migliorata, che alle volte  possono addirittura possedere nuove attività. Questa è chiamata strategia me-too o anch-io. Capite che queste strategie non sono esattamente prêt-à-porter e che ci possono volere molti anni anche soltanto per trovare il bandolo della matassa, prima di iniziare a srotolarla per intero.

Dal momento che buoni farmaci cambiano l’aspettativa di vita della popolazione, l’idea è quella di seguire una strategia integrata, una specie di ‘catena di montaggio’, per accelerare la ricerca, la scoperta di nuovi farmaci e l’introduzione in terapia clinica. Per fare questo, in sintesi, si deve identificare un bersaglio molecolare che sia coinvolto nell’insorgenza o nei processi riparativi della malattia da trattare. A questo punto, bisogna procedere sullo stesso bersaglio in due direzioni: 1) comprendere meglio la funzione del bersaglio, per assicurarsi di aver identificato la strada giusta; 2) chiarire la struttura del bersaglio a livello atomico, per poi disegnare molecole adatte ad attivarlo o disattivarlo, in modo da raggiungere l’effetto desiderato.

Spesso, però, conoscere sperimentalmente la struttura di un bersaglio molecolare è difficile. E qui arriva la biochimica computazionale. Per molti bersagli, ma non per tutti, si possono applicare strategie computazionali/bioinformatiche, che ci permettono di costruire modelli dei bersagli di nostro interesse. Questo è un processo non semplicissimo, che ci permette di capire come funziona a livello molecolare il nostro bersaglio e ci consente anche di disegnare con una relativa (relativa relativa relativa, eh) facilità delle molecole in grado di legarsi a questo e di modificarne l’attività. I nuovi farmaci, quindi, non vengono scoperti per caso o modificando molecole già note, ma vengono disegnati/identificati al computer e poi sintetizzati dei nostri magnifici colleghi chimici (farmaceutici). Negli ultimi anni sono stati messi in commercio diversi farmaci progettati in questo modo.

Ovviamente, questa strategia sveltisce di molto la fase di scoperta. Restano poi da valutare le fasi pre-cliniche, durante le quali si studia la capacità delle nuove molecole di curare la malattia in un modello sperimentale e la tossicità in modo grossolano. Seguono le fasi cliniche, in cui si studia sull’uomo quali siano il metabolismo, gli effetti avversi e l’efficacia terapeutica. Queste fasi sono molto stringenti e quindi pochissime molecole attive riescono ad arrivare all’immissione in commercio, con grande rischio per gli investitori.

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5 commenti

  1. Un bellissimo “articolo” Ivano! Articolo l’ho messo tra virgolette perchè non so se è proprio la giusta parola per questo blog, ma sono sicura che sia quella che più si avvicini al tuo intervento…
    Sono una sclerata diagnosticata già da 16 anni, ma sono anche una veterinaria (e credo che il binomio veterinaria e sclerata sia veramente pessimo), quindi capisco di cosa parli e ne hai parlato in maniera molto chiara e comprensibile a tutti.
    Credo che in questo momento storico in cui tutti sono alla ricerca di farmaci, vaccini, elisir e preghiere efficaci, faccia capire che per qualsiasi di questi ausili ci vorrà molto molto tempo e molti molti soldi.
    Tutto questo preambolo comunque per dire Grazie a te e a tutti i ricercatori come te che nonostante tutto “rimangono sempre sul pezzo” e continuano a lavorare per tutti noi.
    Grazie davvero

  2. Un lavoro straordinario quello dei ricercatori, grazie Ivano!!!!

    • Ciao Ivano mi chiamo Barbara ho la sm da 16 anni.Ho letto iltuo articolo è condivido pienamente.Noi che abbiamo la malattia sappiamo benissimo cosa vuol dire mettere in commercio un nuovo farmaco.Sicuramente qui i tempi saranno più accelerati ma gli interessi sono tanti se per caso ci fosse un errore dalla casa farmaceutica sai i soldi persi.Comunque dobbiamo essere positivi e sperare. Grazie alle persone come voi che c’e l’h amettete tutta per avere i farmaci.

  3. Quanto lavoro, quanto tempo, quanta fatica e quanti investimenti, in tutti i sensi (economici, umani…). Enormi.
    E quanta dedizione dai ricercatori, sbaglio?

    Da qualche parte ho letto che la Medicina è scienza giovane, molto giovane… Ivano, che dici?

    Io sogno una roba del genere: tu (e i tuoi colleghi) che, volta per volta, ‘programmano’, istruiscono il sistema immunitario a che combattano il nemico individuato
    Tipo: Ivano scatta fotosegnaletica del criminale (isola il virus, il batterio…), distribuisce ai poliziotti (globuli bianchi, linfociti e compagnia cantante), distribuisce fotosegnaletica ed emana l’ordine “Quella roba lì, cercatela, trovatela, eliminatela. Ha quei marchi molecolari lì, riconoscibilissimi. Eliminate uno ad uno il microorganismo con quegli indicatori facciali, subito”.

    Passo al nostro di caso: “Caro il mio sistema immunitario, questo è un ordine, non è un’esercitazione, è un ordine: cerca neuroni, assoni, mieline danneggiate… trovati, pulisci prima bene le cicatrici lasciate e poi ricostruisci la mielina. Ah, non dimenticarti di interrompere il processo distruttivo, da oggi ricordati che la mielina non è nemico, va trattata bene e curata”.

    Ecco, una medicina tipo così, sogno troppo? Mi pare che il Car-T sia parente di una situazione del genere, no?

    Niente, solo perché un pochino immagino la vastità colossale del territorio dove voi biochimici e ricercatori lavorate, stupefacente, straordinario, tutto (ancora) da esplorare.

    Che meraviglia.

    Buon lavoro e grazie Ivano.

  4. Maurizio Recanatini Reply to Maurizio

    Complimenti per il post che fa chiarezza su come si scoprono i nuovi farmaci e sulla necessità di un approccio integrato multidisciplinare. Complimenti anche per il lavoro su PlosOne.

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