Storie per un mondo libero dalla sclerosi multipla

È bastato un “ci dispiace che tu non sia qui”

Davide si sente un po’ “bearish”, un termine oscuro ai più ma che è molto vicino a “down”. È stata una serata saltata a causa della sclerosi multipla a farlo arrabbiare. Perché anche se hai organizzato da mesi un evento, a volte la malattia sceglie per te.

(Assieme al mio disegno, nel suo sfondo c’è la domanda la cui risposta è proprio l’inizio del raccontino)

No, non è il futuro che avevo sognato. Devo essere onesto, nemmeno quello che avevo temuto.

Vero, il cartello blu. Si rivolge a me. “Disabile” o, peggio ancora, “Diversamente abile”.

Scusi? “Diverso”? Da chi? Da cosa? Provaci a rispondermi “dal normale”.

E intanto sono arrabbiato, molto arrabbiato. L’altro giorno avevo un incontro con cari amici, che non vedo ormai da qualche anno. E il lockdown e l’isolamento come persona fragile, non li vedo proprio da tanto, e c’è un legame importante.

Serata organizzata da due mesi, e ho dovuto dire all’ultimo momento che non ci sarei andato perché non stavo bene. Ho proprio provato ad aspettare fino all’ultimo, ma la malattia ha deciso per me. Capita spesso.

“Ci saranno altre occasioni”, si, ma intanto…

Li ho comunque chiamati, hanno risposto e han voluto attivare la webcam; erano a tavola, tovaglia chiara e le pizze già cominciate. “Davide sto mangiando io la tua bufalina. Mi piace di meno di quella che avevo scelto per me e che mangerò dopo”. Tre amiche e un amico, tutti e loro quattro inquadrati. Il mio viso appoggiato al cuscino mostrava che ero a letto.

Ci dispiace tu non sia qui”. Li conosco bene, mi stava scappando da piangere, io che non piango mai. Vuol proprio dire che sono in un momento down. Anzi, usiamo un termine cripto che oggi fa figo: bearish, momento bearish (col translate di google fai presto…).

Qualcuno ci teneva a che io ci fossi. L’orrore che provo per le condizioni in cui sono, evidentemente non è contagioso, loro ci tenevano lo stesso. Rimane la rabbia.

E so che si erano organizzati perché io potessi arrivare al terzo piano in cui si trovavano, lo so. Ecco, cosa faccio? Mi arrabbio ancora di più perché anche la loro fatica è andata sprecata?

Il senso di quella mano che viene porta verso di te perché, a te, ci tiene. Non per un gesto di pietà, ma proprio perché ci tiene. Tu ci sia.

Li ho visti, li ho salutati. Gliel’ho detto che sono belli.

Altri mi ripetono “Puoi comunque fare grandi cose, anche nelle tue condizioni”. E invece, pensa, non mi interessa proprio mostrare un video dove son magari riuscito a scalare il Baffelan in carrozzella (il Baffelan è il dente di una piccola dolomite, sopra Recoaro Terme).

Cosa me ne faccio di un evento straordinario spot? Cosa? “Applausi, bravissimo, sei un grande! Nelle tue condizioni sei un esempio!”. Me ne frega niente di essere di esempio, me ne frega niente delle grandi cose. Ridisceso dal Baffelan, tutto poi tornerebbe come prima, nelle piccole cose tutto tornerebbe come prima, e quel pubblico che mi applaudiva, (giustamente) si rigirerebbe dall’altra parte.

Giustamente, mica posso dar senso al mondo solo se c’è share.

In realtà qualche impresa da raccontare la avrei, così come qualcos’altro in programma, ma oggi profilo basso, anzi, di nuovo, bearish.

Dicevo, le piccole cose, i piccoli gesti, il sentire che la fatica che faccio nelle azioni semplici, e magari nascoste, quella fatica, che così tanto mi pesa e mi frustra, sentirla e sentire che ha comunque un senso, per me.

Avere una risposta al “a che vale?”. Anzi, non farsi nemmeno più la domanda, perché già senti che qualcosa ti aiuta ogni mattina a ricominciare la giornata, comunque. Un qualcosa che assomigli molto ad un “desiderio”, desiderio di… “uno scacco di sole” diceva Alda.

Che storia, è bastato un “Ci dispiace tu non sia qui”. Ci sarò.

Ah, il Baffelan non l’ho scalato, e si, il disegno è mio.

Se vuoi condividere la tua storia su queste pagine scrivi a blog@giovanioltrelasm.it

3 risposte

  1. Credo che quando svuotiamo il futuro perchè è diventato una minaccia ci basta proprio poco per sentire male e allora diventa difficile anche avere voglia di un caffè (è bearish?). Teniamoci stretta Alda ma cerchiamo anche di non dimenticare che per guardarci allo specchio e restare sereni abbiamo bisogno di sapere che non abbiamo nulla da rimproverarci perchè sì, stiamo faccendo tutto quello che ci è possibile perchè la nostra vita sia il più possibile simile a quella che avremmo voluto. Ho capito molto bene quello che hai detto è una “lingua” che conosco. Un abbraccio

  2. Cornelia, intanto ti contrabbraccio 😉

    E si, non desiderare caffè è bearish… ma un ristretto con cioccolatino a compagnia può trasformare il momento in “bullish” (leggo che è il contrario di bearish).

    E ti do anche ragione su quanta forza può dare la consapevolezza di stare facendo tutto il possibile.

    Tutto frana quando il desiderio non coincide con la possibilità, o viceversa. Ma questo lo vedo succedere (spesso) anche tra i ‘normodotati’ (mamma che termine orendo…). Quindi, forse, proprio come dici tu, è in altro modo che va rincorsa quella serenità di cui parli. Sia nel non rimproverarci (concordo di nuovo), e magari nel non arrabbiar-mi, accontendandomi possibilmente di un più leggero “machepppalle!”.

    Ah, leggo anche che, in italiano, bearish e bullish son tradotti con “Orsi” e “Tori”, perchè son quelli che si ‘adattano’ all’andamento del corrispondente momento e lo sfruttano; questa poi.
    Insomma, adattare la strategia alla situazione… quindi, aggiungi il cioccolatino al caffè 😉

    Deiv

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