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La non-comunicazione uccide

Andrei Boukatyi 34 years old, Washes dishes,
Nella foto: un’immagine dal reportage Under Pressure – Living with MS in Europe, © 2011, Walter Astrada, UNDER PRESSURE.

Lo sappiamo bene Lorenzo e io, quanto possa uccidere la non-comunicazione.

Quanto fare finta di nulla e non ascoltare le proprie emozioni sia disastroso. Come gli anni in cui la sua sclerosi multipla cominciava ad  aggravarsi. Lorenzo è razionale, forte, autoironico. Non lascia trapelare nulla del suo dolore e finge d’essere tutto d’un pezzo; in realtà si ‘rinchiude nella sua grotta’ di silenzio, per poi riemergere. Dovette accettare la stampella, il deambulatore, infine la carrozzina.

Io mi feci un pianto iniziale, ma poi avevo sin troppa fretta di passare al successivo ausilio, e non capivo la sua non-accettazione. Aveva solo bisogno di tempo per digerire la cosa, mentre io mi portavo troppo avanti. Una volta riconciliati, passeggiare per il corso di San Giovanni Valdarno in carrozzina fu una vera ‘rinascita’.

Oggi, un nuovo grande malinteso, e sempre di ‘nascita’ parliamo. Volevo un secondo figlio dopo la nostra Lucrezia, mentre lui portava avanti motivi economici, domestici, insomma ‘razionali’, per dirmi: no.

Ma aveva semplicemente paura. Di non poter essere un buon padre, di non potermi aiutare, di non farcela.

Io mi arrabbiavo, perché mi vedevo negato a priori il tentativo di un secondo figlio. Non ce l’ho più fatta, e ho chiesto un incontro a due con la sua terapeuta. È lì che gli ho vomitato addosso tutta la mia rabbia, ed è lì che gli ho detto, tu sarai un padre meraviglioso così come già sei con Lucrezia!

Anzi oggi, dalla tua carrozzina, potrai gestire il bambino e aiutarmi pure con più sicurezza. Passata la sfuriata, lui è… ‘uscito dalla grotta’, e mi ha detto sì, facciamolo. Oggi Lucrezia aspetta un fratellino. E Lorenzo sa che sarà un buon padre, anche se non insegnerà a suo figlio ad andare in bici. Potessi tornare indietro, oggi non ci penserei un attimo a fare terapia, a chiedere aiuto. Ci saremmo risparmiati tanto dolore e tanti equivoci. E magari ce ne saranno altri. Guardare in faccia la propria paura e le proprie emozioni, chiedere aiuto, anche a chi ti ama, è così difficile?

Fulvia Tommasi

 

Questa lettera è stata pubblicata su SM Italia 3/2016, ultimo numero della rivista d’informazione sul mondo della SM, dove potete trovare notizie, approfondimenti, inchieste, interviste, e la risposta a questa lettera da parte di un’altra persona con SM, Claudio D’Andrea.

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2 commenti

  1. Ciao!
    mi chiamo Federico e la SM mi è stata diagnosticata nel 2001. Proprio quando la Maggica ha vinto lo Scudetto… bei ricordi, eh!
    confermo e sottoscrivo la tua lettera, in tutto il suo insieme.
    le maggiori difficoltà nascono proprio da paure non condivise, preoccupazioni e parole non dette.
    anche io sono molto razionale.
    inizialmente mi incavolavo di brutto perché ero convinto che le altre persone fossero profondamente egoiste e lo facessero apposta a non darmi l’aiuto che mi serviva e a non badarci.
    un pò uno stupido orgoglio personale, un pò i tabù con cui ero cresciuto in questa società, mi facevano sentire in difetto a non essere come “gli altri” e ad aver bisogno, e come conseguenza mi chiudevo a riccio pensando “solo io so di cosa ho bisogno”.
    per mia fortuna ho ben presto capito l’importanza di un dialogo aperto.
    se ho un pensiero, una necessità, faccio bene a dirla.
    le persone che abbiamo di fronte, nella quasi totalità dei casi, ci vogliono bene e vorrebbero fare di tutto per agevolarci.
    a volte però non c’è cosa peggiore del ricevere aiuti non richiesti. vengono a minare il tuo già precario equilibrio e sicuramente quei “movimenti” ad incastro che con il tempo hai imparato a fare per portare a compimento una cosa.
    ma da cosa derivano queste mie incazzature e l’imbarazzo della persona che abbiamo di fronte (che quasi sempre vorrebbe fare un gesto spinto dall’amore volto ad aiutarti)?
    semplicemente dal non dialogo.
    è vero che solo io so di cosa ho bisogno, ma è pur vero che se non lo dico l’altro non lo può sapere e si creano malintesi mostruosi e si finisce per ritrovarsi da soli, proprio perché “è impossibile rapportarsi con lui!”.
    parliamo, quindi, diciamo quello che sentiamo, la paura che abbiamo o la difficoltà di fare una cosa.
    in fondo, 2 teste pensanti sono meglio di 1. figuriamoci 2 o 3 o più!!
    i tabù lasciamoli agli altri. abbiamo già un bel problema.
    cerchiamo di “smembrarlo” in piccole cose da affrontare. si vive decisamente meglio.

  2. Grazie delle tue parole… Mi confermano che occorre guardarsi sempre negli occhi e parlare, altrimenti si creano muri, a volte insuperabili.

    Fulvia Tommasi

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