Volevo solo iniziare una terapia, volevo solo esser curata

sclerosi multipla terapia

 

L’ultima puntata della testimonianza di Valentina. Dopo la diagnosi arriva la ricerca terapia, e con lei la voglia di iniziare una cura il più presto possibile. Se ti sei perso la puntata precedente, la trovi qui.

Torno a colloquio con la dottoressa, non ricordo quanto dopo, forse un mese, non avevo chissà quali aspettative, è come qualcuno che ti fa lo spoiler di un finale di stagione e poi cerca di riprendersi, non ci credi poi tanto. Io non ci credevo.

A quasi un anno dal primo sintomo, volevo solo che si iniziasse a fare qualcosa, volevo solo esser curata.

“La tua è stata una diagnosi più che precoce, siamo quasi alla genesi della patologia” mi aveva detto in più di un’occasione la neurologa, ma io non volevo abusare di tutto questo gran culo che mi aveva detto. Perché, mi innervosivo, dobbiamo aspettare che sfoci, violenta e irrecuperabile? Ogni volta che inciampavo o che mi scivolavano gli oggetti dalle mani, quando mi si incespicava la lingua o non ricordavo qualcosa (sempre avuto ottima memoria), mi salivano vampate di paura.

Sono cose che succedono a tutti, banali, che fanno anche sorridere, ma quando hai il cervello macchiato ti fanno preoccupare.

Il risultato della rachicentesi confermava la malattia. Niente di nuovo, quindi. E’ arrivato forse il momento di curarmi? Sì, vada per il Plegridy. “Ma, cara, devi fare prima le analisi di reclutamento, la stesura del piano terapeutico, il ritiro del farmaco, il training e poi la prima terapia” “Ma io il prossimo mese mi opero” “E allora, dai, rimandiamo tutto a dopo l’operazione”.

Dell’intervento mi diverte ripensare che, in fase di anestesia, la mia esigenza più grande fosse che tutti sapessero che avevo la sclerosi multipla. Mi era venuta la paranoia che potesse esserci qualcosa, qualche farmaco che mi potesse nuocere. L’ho detto a tutti. Ah lei è il chirurgo, piacere, io ho la sclerosi. Ah tu sei l’anestesista, giovanissima, io ho la sclerosi. Mi dovevano operare all’utero, non so perché si sono sentiti di dovermelo ricordare.

 

L’inizio della terapia

Alla fine mi operai a metà maggio, quindi tornai dalla neurologa a giugno. E si avviò, finalmente, l’iter per procedere con la terapia. Era quasi fine luglio ed avevo il farmaco a casa.

Ti danno due sole iniezioni, un mese di terapia, puoi ritirarlo solo alla farmacia dell’ospedale oftalmico a Piazzale degli Eroi, nei comodi orari di Martedì o Giovedì dalle 9 alle 13. E’ una farmacia territoriale. Non è un negozietto, ecco. Distribuiscono farmaci di un certo costo e per patologie gravi, vedi anche l’ossigeno.

Al San Camillo mi avevano dato il piano terapeutico, dicendomi “Vai, consegni questo e aspetta che ti chiamano per il ritiro, pochi giorni”. La prima volta ci sono andata alle 8, se c’era una fila da fare volevo essere una delle prime.

 

Il recupero in Farmacia

La farmacia si trova in uno scantinato – cantiere per dei lavori di ristrutturazione, buio, squallido e quasi introvabile. Sono entrata in questo corridoio interrato, senza finestre, d’estate (anche se non era la più calda degli ultimi 150), pieno, pieno di persone. “Ma ha già aperto?” ho chiesto, volevo darmi una speranza. “No, alle 9”, mi sono afflosciata su una parete libera. Non prendeva neanche il cellulare. Pazienza, aspetto.

Quando, finalmente, chiamano il mio numero, vado e consegno il foglio. Mentre l’addetta trascrive i miei dati, le faccio delle domande su un mondo che mi era sembrato da subito irragionevole: “Ma solo 2 alla volta ne date, c’è possibilità di trimestri?”

“No.” Manco Signora.

“Ma c’è maniera di farmelo recapitare?”

“No.” Non alzava neanche la testa mentre scriveva.

“Mi scusi, ma neanche a farmacie comunali di zona?”

“No. Plegridy 90, 125.” Verso un infermiere.

Mi portano la scatola con il farmaco e la cortesissima signora mi fa “Non ce l’hai una borsa termica?”

“Eh no, non sapevo fosse necessaria e, a dirla tutta, non sapevo neanche che me lo desse subito”

“Serve una borsa termica con dei ghiaccioli, fa 30 gradi, il medicinale si rovina. Torna la prossima volta con una borsa termica.” “No, tornare a breve non posso, mi dia il farmaco, vado a comprarla dai cinesi e mi arrangio con i ghiaccioli” e vaffanculo, volevo aggiungere. Esco, con il caldo che cominciava a salire prepotente essendo passate 3 ore da quando ero entrata, e mi metto alla ricerca di una borsa termica.

Trovata abbastanza celermente, mi aspettava l’epopea dei ghiaccioli, che seppure l’avessi trovati sarebbero stati caldi, nessuno ti vende mattonelle congelate. Alla fine, dopo esser entrata in farmacia a chiedere i “ghiaccioli” ho capito che forse era il supermercato quello che poteva veramente aiutarmi.

Ho trovato subito una SMA o qualcosa del genere, sono entrata e ho deciso velocemente di affidare la salute del mio farmaco ad una busta di funghi congelati. Risolto, ora devo solo affrontare il resto della giornata.

Potrei dire che qui finisce la parte divertente. Fino a quel momento, fino al giorno prima di iniziare la terapia, ero malata, sì, ma stavo bene. Avevo una vita normale. E tale doveva rimanere, così pensavo.

Solo la malattia mi poteva fermare, ma non glielo avrei permesso, ma non è stata lei ad abbattermi.

E’ la difficoltà di ricevere tutele o sostegno per tutti i gradi che puo’ avere questa patologia. Sono state le Istituzioni.

Valentina

Se vuoi condividere la tua storia scrivi a blog@giovanioltrelasm.it

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4 commenti

  1. Ti prego…continua a scrivere…mi fai troppo ridere!!!Scrivi tutto quello che succede anche a me e anche io mi comporto così!!!

  2. Valentina sei mitica!!!

  3. Valentina devi ancora scrivere!!!!facci un libro o un blog!traduci in parole esperienza che chi più e chi meno abbiamo vissuto, sei grandissima mi dispiace troppo che sia finita la storia così!mi aspettavo e speravo di leggere come hai gestito il farmaco all’inizio!io sono una neodiagnosticata e pure io come te neurite ottica, faccio il rebif ed è vero con la terapia cambia tutto o quasi 🙂 aspettiamo il seguito!!!!!

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